KEY LIGHT – Luce e Cinema VII
E’ online il settimo articolo della rubrica curata da SHOT Academy ‘Key Light: Luce e Cinema’ pubblicato sulla rivista ‘Luce & Design‘.
IL RAGAZZO INVISIBILE
ovvero
la luce della crescita
Amara consolazione quella di perdere l’innocenza per assumersi le responsabilità che derivano da grandi poteri. Superpoteri.
Il passaggio da un IO dominato dall’istinto ad un IO organizzato in un sistema conscio è il prezzo da pagare per diventare adulti. Ma adesso basta con questa spicciola psicanalisi. ‘Il ragazzo invisibile’, l’ultimo film di Gabriele Salvatores, fotografato dal suo storico collaboratore Italo Petriccione (David di Donatello 2004 come miglior fotografia per ‘Io non ho paura’ sempre di G. Salvatores) è il film scelto per questa puntata di Key Light.
Una novità assoluta nel cinema italiano che mai, o quasi, ha fatto incursione nel genere fantastico. Ma c’è ben poco dei blockbuster hollywoodiani in questo film di respiro europeo. Anzi: mitteleuropeo. Metafora archetipica quella dell’essere invisibile per scoprire il mondo che ci circonda; siamo dalle parti di un’educazione sentimentale formato Marvel che segna il passaggio dal sentimento all’azione. Il registro espressivo di Salvatores è stato sempre stilizzato da Italo Petriccione, un direttore della fotografia che lo coniuga, con gusto, tecnica e personalità, e che già con ‘Nirvana’ aveva tentato con ottimi risultati a fare un’incursione nel cinema fantastico.
Un banale incidente scatenante proietta un comune ragazzo di città – o di provincia? – (Michele, interpretato dall’esordiente Ludovico Girardello) a cercare il suo altrove, di fatto la propria natura. L’acquisita maturità, che coincide con la scoperta di non essere il figlio naturale di Giovanna (interpretata da Valeria Golino), spinge il ragazzo a sfruttare il casuale superpotere per vendicarsi delle quotidiane prepotenze dei compagni di scuola e per far innamorare di sé Stella, l’eroina che in qualche modo contribuisce a rendere Michele ancora più cosciente di se stesso. Trieste è la location che fa da background alla storia. Una città per certi versi in bianco nero, senza contrasti e priva di saturazione, che accoglie perfettamente tra le sue luci daylight ‘n overcast il viaggio di crescita di Michele.
L’andamento fotografico del film segue il plot come in un pedinamento. Se i sentimenti non sono netti, la luce non è incidente ed è prevalentemente neutra (intendiamo tecnicamente non criticamente; il riferimento esposimetrico per valutare il contrasto di una scena/inquadratura è il grigio medio, ovvero il punto a metà del contrasto fra un bianco puro e un nero pieno). A ribadire che siamo in Europa. In centro Europa. E non a Gotham City o a Metropolis o nella New York delle graphic novel Marvel. Il fumetto, per definizione, è un’ iperbole. Il carattere della luce di Petriccione, invece, oscilla fra una mancata affermazione della sorgente luminosa profilmica (Michele prima dei superpoteri) e la definitiva presa di coscienza (Michele hero) denunciata dai controluce tipici della cinematografia americana.
Prendiamo in considerazione la scena degli ‘speciali’ quando ci vengono mostrati in sequenza questi strani esseri imprigionati in luoghi simili a celle frigorifere.Un neutro fatto di luce metallica e di ciano che squilla nell’incisione dei Master Prime della Zeiss, gli obiettivi scelti da Petriccione per questo film. Se nella prima parte del film lavora sui bianchi modulando le diverse tonalità di questo colore acromatico (il bianco panna, il bianco ghiaccio, il bianco neve…), nella seconda Petriccione chiude i neri per dare più volume ai colori, saturando il sodio delle lampade.
La sequenza del salvataggio dei compagni da parte di Michele è una notturna incursione nel sommergibile dove sono detenuti. Qui i protagonisti sono i neri e i gialli che affermano così la loro differenza dai grigi e dai blu freddi dei flash-back delle scene ambientate in Russia.
La luce è come l’acqua: non ha forma. Ma se dovessimo catturarla basterebbe riconoscere l’atmosfera del film. Ed è in questa dimensione fatta di invisibili marcatori che si attesta il carattere del lavoro di Petriccione. E’ nostra convinzione che il ricordo visivo di un film è quello che abbiamo perché è quel determinato direttore della fotografia che ne ha costruito la sua immagine. Lo stesso film girato da un altro direttore della fotografia non produrrebbe in noi lo stesso ricordo visivo. Usati così discretamente dai tecnici della Visualogie, nel film di Salvatores anche gli effetti speciali aiutano a dare forma al carattere del film, a sospendere l’incredulità del fantastico.
Nel film, non ci sono catastrofici inseguimenti o esplosioni vaste come atomiche. C’è il cinema d’autore che mette l’accento del racconto più sulla psicologia che sui fatti. Un modo di intendere e di vedere il cinema che spesso ci lascia un ricordo long seller, come un classico della letteratura, che sopravvive ai momentanei successi di un qualsiasi top box office. E strano a dirsi, ma – anche se i numeri in € de ‘Il ragazzo invisibile’ non sono stati dablockbuster – a giugno inizieranno le riprese del sequel.
IL RAGAZZO INVISIBILE (2014)
di Gabriele Salvatores; Direttore della Fotografia: Italo Petriccione
TECHNICAL SPECIFICATIONS
Aspect ratio: 2,39 : 1
Negative format: ARRI RAW
Camera: Arri ALEXA XT STUDIO
Lenses: ZEISS MASTER PRIME
Source format: 2.8K Arri Raw
Digital Intermediate: 2K
Printed film format: DCP
Per approfondimenti:
https://www.youtube.com/watch?v=XjxNJdUtDNo
http://cinema.everyeye.it/articoli/intervista-il-ragazzo-invisibile-gabriele-salvatores-24229.html
http://www.visualogie.com/it/project/il-ragazzo-invisivile/
http://www.zeiss.it/camera-lenses/it_it/cine_lenses/master_lenses/master_prime_lenses.html
http://www.lucenews.it/la-luce-come-carattere-dellimmagine/
Il punto di vista del direttore della fotografia
Facciamo due chiacchiere con Italo Petriccione (David di Donatello 2004 come miglior fotografia per ‘Io non ho paura’ di G. Salvatores).
‘Il ragazzo invisibile’ ha un andamento narrativo che si afferma in due tempi; Michele prima e dopo i superpoteri. Possiamo dire che la fotografia ha lo stesso andamento?
“La mia proposta era quella di dissolvere da un’ immagine diciamo “ordinaria” ad una più “spettacolare” in diretta, durante la scena. Occorreva quindi approntare due impianti di illuminazione contemporanei e dissolvere da uno all’altro nel momento in cui Michele cominciava a manifestare i suoi poteri. All’inizio della storia il fenomeno non è controllato e questa variazione visiva avrebbe sottolineato l’imminente irruzione dei super poteri diventando parte attiva del racconto. Avrei cambiato la normalità di una illuminazione diciamo “naturalistica”, anche un po’ cupa, con potenti controluce, accenti luminosi e cambiamenti delle tonalità cromatiche che, innestandosi in una narrazione più dinamica, avrebbero portato la dimensione europea di una splendida città come Trieste, ai sapori delle metropoli nordamericane. L’idea piacque subito a Salvatores ma ben presto dovemmo accantonarla, sia per problemi produttivi (due impianti illuminotecnici contemporanei necessitavano di materiali e personale eccessivi) sia per la necessità di non limitare possibilità al montaggio. È evidente che effettuando questi cambiamenti “in scena” non sarebbe stato possibile modificare l’ordine delle inquadrature e questo era un limite eccessivo per la modalità di lavoro di Salvatores. Abbiamo optato quindi per un cambio di registro visivo in gran parte attraverso la color correctionche, modificando il “look” dell’immagine, sottolineasse questi passaggi. Lavorando sul livello del nero e sulla saturazione ho “slavato” la parte che riguarda la quotidianità di Michele per enfatizzare la differenza con la parte dei super poteri che avevano una maggior profondità e una cromia più decisa”.
Immaginiamo che con Salvatores avrete definito a priori un modo di vedere, di ‘sentire’ con gli occhi il film. Cosa vi/ti ha ispirato? Hai sbirciato qualche film della Marvel prima di definire il look del film, le atmosfere o hai guardato altrove?
“Gabriele Salvatores aveva ben presente che girare in Italia un film su un super eroe avrebbe comportato un prevedibile confronto con il genere che negli Stati Uniti ha la sua terra di origine. Come a suo tempo aveva fatto per‘Nirvana’ anche in questa occasione gli interessava una lettura più europea, oserei dire più d’autore, che contenesse sì una parte d’azione e di effetti speciali ma che si appoggiasse più alla psicologia dei personaggi, alle loro ansie e paure, nella ricerca di una dimensione più intima della storia. D’altronde gareggiare col livello Usa ma con budget e tempi infinitamente più contenuti non avrebbe avuto senso e per altro quel tipo di cinema ha un approccio che ha poco a che vedere con i nostri modelli produttivi. Salvatores era affascinato dalla possibilità di usare la vicenda dei super poteri come metafora del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Occorreva quindi dare alla quotidianità quel sapore di “normalità”, legata alla routine e all’emarginazione del protagonista che vive una vita in apparenza banale (rispetto ai suoi compagni), e sottolineare la presa di coscienza delle sue potenzialità con un cambio di registro visivo”.
Trieste è una città poco colorata e assolutamente off come location, lontana dai contrasti e dalle saturazioni tipiche dei film di questo genere. Come hai accettato questa ‘sfida’?
“Trieste è una città davvero spettacolare, non riesco in poche righe a raccontare il suo fascino. Basterebbe attraversare Piazza Unità d’Italia (illuminata magnificamente da Dante Spinotti!) o passeggiare per la zona del porto vecchio con i suoi magazzini fine ottocento per restare a bocca aperta. Poi c’è la città, con la sua architettura asburgica legata ai fasti dei commerci e delle potenti compagnie di assicurazione e non ultima la bora che la spazza selvaggiamente caricandola di un’energia potente!”
Non è il caso del film di Salvatores, ma i più maliziosi quando sono di fronte ad un film pesantemente lavorato in CGI parlano di algoritmography. Su che punti fermi hai impostato il lavoro con i colleghi della Visualogie che hanno curato gli effetti speciali?
“Con gli amici di Visualogie ho un rapporto di grande stima oltre che di amicizia. Abbiamo iniziato a collaborare con ‘Nirvana’ nel ’96 e ormai ci interfacciamo perfettamente. Stefano Marinoni ha seguito le riprese sul set e spesso ci forniva dei compositing “rough” sul set per permetterci di vedere …l’invisibile e in questo il sistema digitale aiuta enormemente”.
Come mai hai scelto gli obiettivi Master Prime della Zeiss?
“Mi sono sembrati i più consoni alla trasparenza della luce triestina e la loro luminosità (T 1.3 – NdR) mi ha permesso di raccogliere tutto il fascino della luce al sodio che, specie nel porto vecchio, aiuta a conservare un’atmosfera fuori dal tempo”.
Che lavoro hai impostato in color?
“Lavoro molto con il D.I.T. sul set per definire il look del film. In questo modo c’è anche la possibilità di portare al montaggio una qualità molto vicina al risultato finale, cosa che aiuta non solo il regista nella scelta delle scene e nel sapore delle atmosfere ma sicuramente anche il produttore che può presentare un prodotto in lavorazione a co-produttori o selezionatori di festival più curato. Quando sono in sala per la color, avendo già impostato delle scelte fotografiche con il D.I.T. in fase di ripresa, mi limito a perfezionarle e a rifinire un lavoro in gran parte già avviato”.
Pellicola vs digitale: ormai è una questione archiviata. O no?
“I vantaggi che le nuove tecniche di ripresa hanno portato al mio lavoro sono troppi per rimpiangere la pellicola. Certo la profondità colore del negativo e la sua tridimensionalità a volte mi mancano ma è una questione di tempo; li ritroveremo sicuramente entro breve”.