KEY LIGHT: Luce e Cinema IV

KEY LIGHT: Luce e Cinema IV

E’ online il quarto articolo della rubrica curata da SHOT Academy ‘Key Light: Luce e Cinema’ pubblicato sulla rivista ‘Luce & Design‘.

‘TRUE GRIT’
ovvero
vendetta e giustizia: due facce della stessa luce.

Tratto dal romanzo di Charles Portis, già portato sullo schermo nel 1969 da H. Hathaway – film con cui J. Wayne vinse il suo unico Oscar – ‘True Grit’ è un western decadente, in declino, caduto in prescrizione, come l’America per i Coen, raccontata da sempre attraverso uomini senza più valori dediti al peccato e al malvagio, con un codice morale tutto loro.

True Grit’ (nomination Best Cinematography 2011), è frutto dell’ 11a collaborazione fra Roger Deakins e i fratelli Joel ed Ethan Coen.

E’ probabilmente il film più difficile che abbiamo fatto insieme’. Ne ha ben donde per dire così il britannico direttore della fotografia, avendo dovuto girare in 55 giorni un film del genere, per lo più in esterni e con molte scene in notturna. Anche se il cinematographer aveva già fotografato un film western (‘The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford’ di A. Dominik, film per il quale Deakins fu candidato all’Oscar nel 2008) il genere è un cinema tipicamente yankee e Deakins, da buon europeo, anzi inglese, si è chiesto come avrebbe fotografato l’ ’occidente’ americano della fine del 19° secolo.

Il film è raccontato con gli occhi di Mattie (l’esordiente H. Steinfeld), una ragazzina decisa a vendicare la morte del papà, ucciso per due pezzi d’oro da tal Tom Chaney (J. Brolin), un habituè del crimine. La sua testardaggine e intelligenza – presbiteriana e rompiscatole, dicono di lei gli stessi Coen – convincono il vecchio e duro sceriffo Rooster Cogburn (J. Bridges) a dare la caccia all’assassino di suo padre. La scena di presentazione del personaggio del Grit è contemporaneamente una iconografica mitizzazione del vecchio west, seduto su un falso trono (lo sceriffo è in un’aula di tribunale mentre gli viene chiesto conto degli omicidi compiuti; in nome della Legge, certo, ma con metodi non propriamente del tutto legali) e un abbaglio che pian piano, sfuggendo dal controluce, come nel passaggio da una zona buia ad una fortemente illuminata, ci fa conoscere meglio questo sceriffo/pirata con un occhio solo.

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L’inquadratura è la soggettiva di Mattie che sta entrando nell’aula e vede per la prima volta Grit. Oltre ad inondare il set di foschia (la densità del fumo aumenta l’incredibile tridimensionalità dello schermo bidimensionale) dalle finestre arriva la luce prodotta dagli HMI Par piazzati in batteria per coprire ogni finestra (HMI è la sigla per Hydrargyrum Medium-arc Iodide, le lampade ai vapori di mercurio, le cosiddette lampade a scarica. È un brevetto Osram che sfrutta il principio dell’arco voltaico per l’emissione luminosa attraverso dei gas di ioduri metallici rilasciati nella lampada per produrre la temperatura di colore Daylight. Le PAR, a differenza delle Fresnel, hanno una maggior efficienza).

La luce naturale del sole è stata completamente mascherata per avere così un assoluto controllo sulla continuità fotografica da qualsiasi punto di vista si riprendesse la scena.

Il “lightmotiv” continua nella scena successiva. Mattie ferma per i corridoi del tribunale il Grinta per proporgli di dare la caccia all’assassino di suo padre. Concettualmente la scena è illuminata solo dai finestroni in alto alle spalle degli attori. Il risultato è ottenuto con lampade al tungsteno ad alta potenza puntate contro un ultrabounce (Si tratta di telai 6 m x 6 m su cui sono montati dei teli di nylon bianchi su cui puntare direttamente la luce per rifletterla verso la scena desiderata..): tutto questo sempre con la presenza del fumo, qui usato in minor quantità, che restituisce alla scena morbidezza, a causa anche della luce diffusa presente su tutta la scena che intercetta direttamente l’obiettivo.

Deakins è coerente e nello stesso tempo fantastico. Fantastico in quanto meraviglioso e in quanto non reale. Riesce a coniugare le esigenze del racconto – una luce/ ricordo – con quelle di un’estetica ricercata. Prendiamo l’inquadratura iniziale: un inizio già accaduto, un corpo a terra e qualcuno che fugge a cavallo. E prendiamo l’inquadratura della casa dove il Grinta arriva stremato dopo aver cavalcato un giorno intero per salvare Mattie dopo che è stata morsa da un serpente. Entrambe le inquadrature sono dei tableau-vivant. Luce e forme sono simili, c’è sempre la neve che cade, ma i colori sono agli opposti.

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La prima è un non ricordo in quanto Mattie non era fisicamente presente alla morte del padre e la seconda è un ricordo alterato dal veleno del serpente che ormai sta facendo perdere i sensi alla bambina. Il bene e il male sono due facce della stessa medaglia. Altra fantastica suggestione luminosa è la scena della cavalcata notturna per portare in salvo Mattie. “Per questa scena abbiamo cercato di creare un’immagine romanzata. Il film è tutto un racconto della quarantenne Mattie di quello che è accaduto più di 25 anni prima. Questa scena è la memoria di ciò che è accaduto quella notte. E’ astratto. Questo tono cinematografico può sembrare una scelta non naturale per i fratelli Coen, ma serve certamente ai personaggi del film”.

Anche se ‘True Grit’ è stato girato in pellicola, la post-produzione chiaramente è tutta in DI (con Digital Intermediate si indica sia la digitalizzazione dell’immagine foto-chimica, sia tutte le fasi di CGI – Computer-Generated Imagery, VFX – Visual effects e Color Correction. Una volta finalizzato il progetto in questa fase intermedia, si passa allo scanner recorder per tornare ad avere un’immagine foto-chimica). L’approccio al digitale ha soltanto aumentato le possibilità di realizzazione di un film: scene che in pellicola sarebbero state impossibili da realizzare, oggi la moderna tecnologia ti mette a disposizione strumenti che rendono verosimile qualsiasi shot.

‘True Grit’ può essere visto come un esempio di estremizzazione fotografica. Da una parte l’intervento minimo inteso sia come quantità di luce che come spazio illuminato – gli interni con i lumi ad olio – dall’altra gli esterni notte al chiaro di luna con mezzo miglio di campo inquadrato e un notevole carico di luce. “La luce delle lampade ad olio viene piegata dalla texture del vetro fatto a mano. Ho usato per lo più dei Tweenies (piccoli e compatti proiettori a lente di Fresnel di 650 Watt, ndr) o proiettori da 1KW senza lente per rendere ancora più netta la sensazione di luce nuda, puntiforme”.

Simpatico lo scambio di battute fra i fratelli Coen e il cinematographer. Parlando della scena notturna che vede il Grinta appostato su una collina per sorprendere la banda di criminali che di lì a poco raggiungerà il rifugio, i Coen hanno dichiarato che loro non avevano idea di come avrebbero risolto la scena volendo girare di notte. “Ma tanto ci penserà Roger.” E Deakins di rimando: “Per voi è facile. Basta scrivere notte sulla sceneggiatura ed è fatta. Questa è la sfida più difficile fotograficamente in un film. Hai a che fare con l’illuminazione senza nessuna fonte di luce.” Non solo. La scena è stata tagliata da tre diversi punti di vista e più o meno ogni volta l’eyeline da illuminare era una piccola valle. “Non volevo una luce dura, una single-source per la moonlight. Volevo qualcosa di più morbido a causa della neve in arrivo. L’unico modo per ottenere una grande luce è mettere il più lontano possibile la fonte.”

Per questa scena Deakins ha fatto preparare una cinquantina di HMI, da 12kW e da 18 kW distribuiti su tre piattaforme aeree di circa 5 m x 5 m. La prima e la seconda piattaforma sono state preparate insieme. Finite le riprese dal primo punto di vista (il campo largo dall’alto), il set si è ribaltato in controcampo per girare i piani sul Grinta e Mattie appostati sula collina. Mentre la troupe era impegnata nelle riprese sui primi piani del Grinta e di Mattie, la prima piattaforma libera è stata spostata per illuminare il taglio dal terzo punto di vista, le riprese a valle con le inquadrature sui piani degli attori.

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“Ho dovuto girare con un diaframma 2.2 nonostante avessi acceso quasi 25 HMI ognuna di 12kW o 18 kW… ma per avere l’effetto desiderato ho dovuto mettere la luce molto lontano. E per ammorbidire ancora di più l’effetto della luce lunare alcune sorgenti erano mascherate da dei pannelli e altre erano usate di rimbalzo sugli ultrabounce.”

Una scena violenta fatta di sangue e colpi di pistola. Il Texas Rangers LeBoeuf, interpretato da M. Damon, viene catturato dai criminali. Legato, viene trascinato dai cavalli. Il Grinta non ci pensa su due volte. Per scatenare una sparatoria colpisce proprio il Rangers. Se il Grinta sceriffo non risponde ad un codice morale propriamente detto, ma se si vuole sopravvivere in un paese che ‘non è per vecchi’, il vecchio e alcolizzato Grinta uomo ha una legge tua sua con cui dover fare i conti. La vendetta e la giustizia sono due facce della stessa luce.

 

Cinematographer-Roger-Deakins-image

 

TRUE GRIT (2010)

di E. e J. Coen

Direttore della Fotografia: R. Deakins

TECHNICAL SPECIFICATIONS

Aspect ratio: 2,35 : 1

Negative format: film color negative Kodak Vision2 100T 5212, Kodak Vision2 200T 5217, Kodak Vision3 500T 5219.

Camera: Arricam LT; Arriflex 235; Arriflex 535B.

Lenti: Zeiss Master Prime Lenses.

Cinematographic Process: Super 35 mm. (3-perf) source format;

Digital Intermediate: 4K (master format);

Printed film format: 35 mm anamorphic and DCP.

Per approfondimenti:

http://evanerichards.com/2011/1200

http://evanerichards.com/2011/2111

http://www.rogerdeakins.com/

https://www.theasc.com/ac_magazine/January2011/RogerDeakinsASCBSC/page1.php

https://www.youtube.com/watch?v=x4KwdyWNvUs

Il punto di vista del Direttore della Fotografia 

"La classe degli asini" di A. Porporati, foto di Fabrizio Di Giulio

 Marcello Montarsi

 Marcello Montarsi è un direttore della fotografia versatile e sensibile. Capace di illuminare diverse storie, e di assecondare il genere, contribuisce con la sua fotografia a rendere ‘brillanti’ molte commedie del cinema italiano di successo degli ultimi anni (‘L’ultimo bacio’ – ‘Ricordati di me’ – ‘Santa Maradona’ – ‘Notte prima degli esami’ – ‘Scusa ma ti voglio sposare’ – ‘Pazze di me’). Sua è la fotografia, molte toccante e lieve, del film di Peter Del Monte ’Nessuno mi pettina bene come il vento’. Ha appena terminato le riprese di ‘Prima di lunedì’ di Massimo Cappelli e si appresta a girare il nuovo film di Fausto Brizzi ‘Forever young’.

Roger Deakins è universalmente considerato uno dei migliori cinematographer in circolazione. Candidato ben 12 volte all’Oscar, l’Academy non lo hai mai premiato. Un po’ suona come una beffa. ‘True Grit’ era fra i 5 candidati nel 2011 (quell’anno la statuetta se la aggiudicò Wally Pfister per ‘Inception’) Ci dici la tua sulla luce di Deakins?

“Deakins mi piace da sempre. Dai suoi primissimi lavori, come ‘1984’ o ‘Sid e Nancy’. Il documentario è stata la sua scuola. La sua concezione di luce è il reale. Molto diversa, per capirci, dalla luce e dalla fotografia di R. Richardson. ‘True Grit’ è fotograficamente e cinematograficamente molto coerente con tutto il percorso di Deakins. Pur rimanendo sempre aderente alla storia, vedendo il film si capisce che usa la luce naturale a suo piacimento. Non allontana mai lo spettatore dalla scena con artifici e riesce a far credere che quello che vediamo è vero, possibile. Ogni volta che vedo un suo film mi ritrovo a pensare sempre che non c’è luce, che non c’è lavoro sulla luce: voglio dire, non senti mai l’aggiunta di una luce oltre alla fonte principale. Illuminare non è solo pensare un‘atmosfera, ma anche pensare da dove viene quella luce, vedere che una luce proviene da un’angolazione piuttosto che da un’altra. Poi ha un gran gusto della composizione, del colore. Usa contrasti cromatici che non sono mai per eccesso, ma per sottrazione. In questo film la luce è desaturata e i colori stessi, così, sono parte del racconto. Il cinema western, spesso, proprio per carattere e genere è ‘violento’ e i colori sono sempre molto accesi. Un occhio poco attento potrebbe pensare che ‘True Grit’ è una visione povera della cinematografia. In realtà è molto ricercata, attenta. Mi piace molto anche il modo in cui muove la macchina da presa. C’è sempre una grande attenzione non solo nella composizione del quadro, ma anche nella composizione dei movimenti”.

Gran parte del film è in esterno giorno. La luce naturale credo sia la gioia e il dolore di un DoP. Deve saperla domare, gestire, condurre, limitare, controllare, attenuare. Cosa fai per fare un buon lavoro in esterni?

“Parto sempre da un presupposto: la natura è più forte dell’uomo. Per cui cerco di plasmarmi a seconda delle esigenze e delle condizioni luminose che trovo. La prima cosa è la pianificazione. Cerco di scegliere il momento più giusto per girare. Non combatto la luce naturale. Devo saperla sfruttare al meglio e di assecondarla. Per questo pianifico sempre le mie giornate lavorative in esterno secondo le necessità della scena e non secondo le mie necessità. Così, sarebbe più facile per me, però, molto probabilmente, non otterrei la luce giusta per quel racconto, per quella scena”.

Ci viene da chiederti a questo punto…qual è la tua luce ‘naturale’?

“Nelle mie corde ‘sento’ le grandi sorgenti. Mi piacciono le finestre, mi piace il cielo nuvoloso. La mia è una scelta di luce non puntiforme. Mi piace la luce diffusa, una luce che invade uno spazio. La mia attitudine spesso è quella di sfruttare al massimo la luce naturale di un ambiente cercando di togliere il superfluo. Prima di intervenire, prima di aggiungere una mia luce, cerco di sfruttare al massimo la luce di quel luogo, di quella location, vuoi che sia un salone o un ascensore. Una felice scelta secondo me è quella di togliere, non di aggiungere. In futuro sarà sempre più possibile arrivare ad una luce completamente ‘naturale’ “.

Nella scena di presentazione del personaggio del Grinta ci ha colpito l’uso del fumo per esaltare il controluce e la scena tutta. Oltre alla luce, quali strumenti ha a disposizione un DoP per illuminare?

“Sentire un’atmosfera luminosa non è solo questione di occhi. A conferma di questo vale il processo inverso. Penso, per esempio, a quando uno è in montagna chiuso in una baita appena sveglio al mattino. Senti il freddo perché e palpabile, l’aria è quasi bagnata. Non parlo di pulviscolo, non è fumo. Parlo di freddo che si vede. Così come si può ‘vedere’ il freddo, nel cinema ‘sentire’ un’atmosfera è il risultato di una serie di scelte che toccano, o che almeno nelle intenzioni dovrebbero toccare, non solo la vista ma tutti i sensi.

Se ripenso agli esterni giorno del film spesso la luce ha una dominante marrone. Quella è la luce della terra, della sabbia. C’è la luce come sorgente e c’è la luce concettuale. Prendiamo la scena girata dentro il rifugio: un interno illuminato da un lume ad olio. L’atmosfera non è il lume ad olio, ma la luce che rimbalza qua e là sulla scena. La sorgente di luce è il pretesto per illuminare, per far sì che poi la luce si rifranga come hai pensato di ottenere quella atmosfera”.

La tecnologia ha piegato il mercato alle sue esigenze. Il Digital Cinema ha scalzato la pellicola. Siamo convinti che è fuorviante fare un paragone e farlo comparativo. Però qualcosa è cambiato. Passare dall’analogico al digitale cosa ha comportato nel tuo fare luce?

“Aver iniziato questo mestiere con il cinema analogico mi ha insegnato a vedere con i miei occhi quello che sarebbe stato il risultato finale. Capire ad occhio nudo come sarà il risultato fotografico è importante. Non sono uno schiavo del monitor. Non ho la necessità di controllare l’immagine su un monitor per star sereno. Me lo ha insegnato anni di cinema analogico. Riportare questo nel cinema digitale significa poter ottimizzare al momento quello che è il pensiero di ogni scena. La Kodak è stata sempre molto attenta a curare il rapporto con i propri clienti. Spesso mi chiedevano, e non solo a me, quello che desideravo per migliorare il mio lavoro. La mia risposta era sempre la stessa: mi piacerebbe avere una pellicola Daylight ad alta sensibilità per poter sfruttare al massimo la luce naturale (le pellicole cinematografiche, come del resto anche i moderni sensori, per riprodurre senza alterazioni cromatiche l’immagine, hanno un parametro che stabilisce su che valore di temperatura colore si riproduce il bianco come tale. Daylight è il termine per indicare il valore di 5.600 Kelvin della temperatura colore della luce naturale, ndr). Con il cinema digitale, e con le sensibilità delle attuali macchine, sono stato accontentato. Non è cambiato il mio modo di fare luce. Mi sento solo più libero di poter utilizzare la luce naturale. Mi sforzo di cercare anche aspetti negativi al riguardo, ma sinceramente non sono un nostalgico della pellicola. Ne sono stato innamorato, ma non tornerei indietro”.

Dovendo assegnare un premio come miglior fotografia cosa guardi, cosa ti spinge a premiare un film piuttosto che un altro?

“Quando l’immagine si sposa con la storia, senza prevalere, ma accompagnandola e diventando parte del racconto. La luce è un attore al pari di chi recita. Il DoP è uno stretto collaboratore del regista e per cui si parla di cinematografia non di fotografia. Di conseguenza è quella persona che insieme al regista fa delle scelte di narrazione cinematografica. Il cinema ha mille sfaccettature. Ci sono mille modi per raccontare una storia e ci sono mille modi per illuminarla. Probabilmente premierei la sintonia, l’armonia e la sintesi e fra luce e racconto”.

(A cura di Alessandro Bernabucci, Shot Academy – Formazione Professionale per il Cinema, Roma)

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