KEY LIGHT – Luce e Cinema XII
E’ online il XII articolo della rubrica curata da SHOT Academy ‘Key Light: Luce e Cinema’ pubblicato sulla rivista ‘Luce & Design‘.
BASILICATA COAST TO COAST
ovvero
la luce del viaggio
‘La Basilicata esiste, è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi’ è l’illuminante epigrafe recitata da Rocco Papaleo nei panni di Nicola, un musicista senza musica – azzardiamo – che rende omaggio alla sua Lucania, attraversando in largo un paesaggio fatto di silenzi e parole.
Come l’archetipo del detective che indagando su un caso scopre cose di se stesso, il viaggio, si sa, da sempre rappresenta l’insindacabile flusso di coscienza che ci mette in contatto con una parte di noi stessi che prima – forse – non conoscevamo.
Il film di Rocco Papaleo del 2010 ci consente in questa puntata di Key Light di indagare un modo di fare cinema che per metà potrebbe sembrare leggero, diciamo superficiale ma non come effimero ma letteralmente in quanto viaggia sopra il livello dell’acqua – e per metà lirico, non perché poetico ma perchè è una pura espressione.
L’improvvisato e mal assortito gruppo musicale ‘Le pale eoliche’ prende come scusa la partecipazione ad un festival canoro per intraprendere un pellegrinaggio di poco più di 100 Km dal Tirreno allo Ionio – coast to coast per l’appunto – per ricongiungersi al senso della vita, diciamo noi, ma più semplicemente per creare un po’ di attenzione intorno a loro e farsi conoscere prima dell’esibizione sul palco di Scanzano Ionico.
Per documentare il loro viaggio a piedi, si aggrega alla band – controvoglia – tal Tropea Limongi (la brava Giovanna Mezzogiorno), una giornalista di una Tv locale. Completano il cast Alessandro Gassman nei panni di Rocco, un locale divo da soap-opera nella sua parabola discendente, Max Gazzè nei panni di Franco, un falegname con l’hobby della pesca, la cui prematura dipartita della sua amata l’ha fatto piombare in un volontario mutismo e Paolo Briguglia nei panni di Salvatore, chitarra, voce e libertà del gruppo. Mezzo di locomozione: un carretto trainato da un cavallo, mezzo asino e mezzo mulo, con tanto di pannelli solari.
Gli effetti personali, intesi sia come bagaglio che come caratteri, marcano colori e luce del viaggio. Il film così assume i contorni di un vero e proprio road movie. Papaleo come Kerouac? No. Ma se è vero che Dennis Hopper per il suo ‘Easy rider’ si è ispirato a ‘Il sorpasso’ di Dino Risi, anche il film di Papaleo – e la fotografia di Fabio Olmi – è un film che riconosciamo come autentico.
‘Basilicata coast to coast’ è stato girato nei mesi e nei giorni dichiarati dai personaggi del film. La Lucania è terra di mezzo, in quanto la sua breve geografia è divisa fra est e ovest.Il film è tutto in Daylight (inteso come luce naturale). Il sostanziale numero di location in esterni incide e determina il look del viaggio. I colori sono saturi-sabbiosi, quell’ambra-gold che rende ancora più tridimensionale il contorno delle figure e dei panorami.
D’estate la luce all’imbrunire rende tutto più gonfio, con quelle lunghe ombre spinte dalla luce radente del sole che sta per morire all’orizzonte: come nelle sottoesposizioni, quando, per dare corposità ai neri, il diaframma è sotto di qualche stop.
Fabio Olmi, il preparatissimo cinematograpaher figlio di Ermanno, ha scelto di lavorare con la pellicola Eterna Fuji 500T, film negative bilanciato per la luce artificiale al tungsteno. Questo significa che quando una scena è illuminata da sorgenti con temperatura colore di 3200 K la riproduzione dei colori è fedele ossia non ci sono alterazioni cromatiche del ‘bianco’; la realtà è riprodotta fedelmente rispetto alle sue cromie.
Per bilanciare la pellicola tarata ‘T’ (tungsten, per l’appunto) quando si lavora con la luce naturale, che durante l’arco della giornata e in determinate condizioni ha differenti temperature di colore, è necessario usare una serie di filtri di conversione, la serie Ambra 85, che convertono la tc verso i valori nominali del film negative utilizzato: tutto dipende dalla temperatura colore sul set.
Se il valore stimato è eventualmente vicino ai 5600 K Daylight, il suddetto filtro riesce a ripristinare i corretti valori, ma se le condizioni native sono diverse, è difficile avere il cosiddetto ‘bianco’. Mediamente i filtri della serie 85 spostano la temperatura colore di 2000 K: è ovvio che se il valore di partenza non corrisponde ai 5500-5600 K, difficilmente potranno ripristinare i 3200 Kelvin.
Di contro, lo stesso ragionamento vale se i valori di partenza sono più bassi del valore Daylight: tutto diventerebbe più caldo, verso il rosso. Ed è quello che accade quando si lavora con la luce al tramonto. Le cromie del film, infatti, sono tutte virate sul bronzo, peculiarità che risalta se osserviamo gli incarnati.
Un altro aspetto tecnico che ha determinato la resa fotografica sono gli obiettivi che Fabio Olmi ha usato. I Cooke S4 sono lenti che innescano uno soft skin tone pur mantenendo contrasti regolari. In più non soffrono del tipico flare della luce diretta in macchina (per capirci, la luce in controluce di una silhouette). Il Cooke Look ha un impatto visivo molto indicato nell’uso della luce naturale.
I risultati del dettaglio fotografico sono causati, fra le altre cose, dalla direzionalità della luce: in base all’inclinazione e all’angolazione della luce riflessa verso l’obiettivo dal rimbalzo della luce incidente sulla scena/soggetto si ottiene maggior o minor incisione dell’immagine. In esterni spesso si cerca per comodità il sole di taglio (rispetto all’obiettivo, la sorgente luminosa è a destra o a sinistra). Più la sorgente luminosa è prossima ai 90° rispetto all’asse ottico di ripresa più il riflesso ‘angolare’ arriva con maggior forza verso l’obiettivo, portandosi dietro il massimo delle informazioni raccolte (leggi dettaglio). La luce di taglio nella maggior parte dei casi è la key light del mood fotografico, in quanto la sua direzione provoca il modo di ‘vedere’ un film. Fabio Olmi ha pensato bene che per lavorare in queste condizioni era necessario ammorbidire i toni e i Cooke sono stati la scelta più indicata. Anche le scene notturne, come quella finale in cui si esibiscono sul palco davanti all’unico spettatore – la moglie di Nicola – rispettano un canone soft-net e di luce dolce, al limite dello sfocato percettivo. La Basilicata, terra lucana, ha il colore e i contorni che ha perché è un ricordo e, come cantano sul palco, ‘is on my mind’.
E se ci credi è vero.
BASILICATA COAST TO COAST (2010)
Regia: Rocco Papaleo
Direttore della Fotografia: Fabio Olmi
TECHNICAL SPECIFICATIONS
Aspect ratio: 1,85 : 1
Film Negative: Fuji Eterna 500T
Camera: Arri 535 3p
Lenses: Cooke S4
Cinematographic Process: Super 35 mm. (3-perf) source format
Digital Intermediate: 3K (master format)
Printed film format: 35 mm spherical
Per approfondimenti:
http://www.fujifilm.com/products/motion_picture/lineup/eterna500/
http://www.cookeoptics.com/l/s4i.html
https://laspunta.wordpress.com/2015/04/17/basilicatacoast-to-coast-film-e-colonna-sonora/
http://www.traterraecielo.it/old/pdf/Intervista_Rocco_Papaleo.pdf
“BASILICATA COAST TO COAST”
Il punto di vista del cinematographer
Fabio Olmi
Fabio Olmi, figlio di Ermanno, cresce sui set del padre. Esordisce come direttore della fotografia nel 1992 con ‘Lungo il fiume’, documentario in 35 mm del padre, seguito da ‘Guarda il cielo’ di Piergiorgio Gay e ‘Arcipelaghi’ di Giovanni Columbu. Nel 2002 la consacrazione ai David di Donatello per la miglior fotografia con il film ‘Il mestiere delle armi’ di Ermanno Olmi. Riceve un’altra candidatura nel 2004 per ‘Cantando dietro i paraventi’, film diretto sempre dal padre.
Se vogliamo – geograficamente parlando – intrappolare in Italia il tuo lavoro, il tuo fare luce è atipico. C’è uno solennità, un silenzio, una cinematografia (intesa come genere e come regarder) che caratterizza il tuo cinema – e che cinema! se pensiamo ai film di tuo padre – che, secondo noi, non è riscontrabile nel lavoro di tanti tuoi italici colleghi. E’ questione di stile o stiamo attribuendo alla tua luce significati che vanno al di là delle tue intenzioni?
“In realtà reputo il mio primo vero film ‘Genesi’ prodotto dalla Lux Vide nel 1994 e girato in Marocco. Anche se non riconosciuto ufficialmente tra le mie direzioni fotografiche, vado molto fiero di quel lavoro. Sicuramente il David di Donatello per ‘Il mestiere delle armi’ è stato un traguardo molto lusinghiero. Professionalmente devo molto al grande Dante Spinotti che ho affiancato come seconda unità ne ‘Il segreto del Bosco Vecchio’ realizzando la fotografia di gran parte delle immagini di repertorio: paesaggi diurni e notturni, ambienti, natura, animali, stagioni, oltre a fare la seconda macchina durante lo shooting con gli attori. Da lui, fin da ‘La leggenda del Santo Bevitore’ come aiuto operatore e poi ‘Una vita scellerata’ di G. Battiato e ancora con ‘Comfort of Strangers’ di Paul Schrader ho potuto osservare la raffinata e meticolosa tecnica di costruzione dell’inquadratura e le straordinarie capacità nell’uso della luce artificiale e del ‘linguaggio’ della cinepresa. Ancora oggi rimango colpito dalla bellezza di pellicole come ‘L.A. Confidential’ e ‘L’ultimo dei Mohicani’, giusto per citarne un paio. Se ora dovessi dire che il mio ‘stile’ si è formato attraverso la lezione paterna in primis e successivamente con le esperienze sul campo, non sarebbe del tutto vero. Ho scoperto molte cose sulla luce dalle grandi opere pittoriche, cinematografiche fotografiche. Anche dai fumetti e questo mi ha aiutato molto nel momento in cui dovevo interpretare un’idea di illuminazione per un film. Ma quello che più mi appassiona ed emoziona è osservare ciò che la realtà, ed il suo infinito mutare nella luce, offre spontaneamente all’occhio di chi lo vuole vedere. Potrei fare delle foto, certo. Però faccio parte di quelle persone che preferisce accompagnare i propri sguardi alla libertà dei pensieri piuttosto che impostare l’HDR (High Dynamic Range, una procedimento digitale per compensare le diverse quantità di luce presenti in una stessa immagine, ndr) sullo smartphone ogni volta che vedo qualcosa di ‘interessante’. Nel momento in cui si gira una scena, questo ’suggerire’ del mondo reale viene in parte restituito nel comporre una nuova realtà, a sua volta suggerita allo spettatore da un regista con il contributo della costruzione fotografica delle immagini. Vorrei aprire un’enorme parentesi sul montaggio (che ho praticato molti anni insieme all’editing del suono) perché il valore di un’immagine cinematografica ed il suo effetto emozionale sono strettamente legati alla durata (o tempo di lettura) ed alla sua collocazione tra le altre immagini. Ma più di tutto sono legate all’opera nel suo complesso. Quante volte immagini bellissime, intense, curate nei minimi dettagli o volutamente ruvide e aggressive non avranno mai quel valore aggiunto che solo il risultato nella sua completezza può dare. E quante altre un ‘girato’ spontaneo, magari tecnicamente ‘difettato’, diventa stile?”
Dove guarda il tuo illuminare? Dei cinematographers che apprezzi particolarmente o hai altri riferimenti non necessariamente cinematografici?
“Sono moltissimi i direttori della fotografia che stimo, sia italiani che stranieri, del passato e del presente, nomi noti ed altri meno. Faccio così: ne cito solo uno che ha la mia età e che ha ‘stile’ da vendere: Emmanuel Lubezki. I suoi ultimi lavori ‘Gravity’, ‘Birdman’, ‘The Revenant’ sono eccezionali e, se pur girati in digitale, conquistano una dimensione materica da grande cinema classico. Quello che gli ho sempre invidiato per abilità tecnica e grande gusto fotografico è il film di ‘The New World’ di Terrence Malick, girato in pellicola 35 mm. dove non è stata usata alcuna luce artificiale sia nei diurni che nei notturni. Un lavoro davvero unico! Devo dire che comunque c’è una figura che sovrasta tutti quando penso al mio lavoro… Leonardo Da Vinci. E non solo per le sue ‘immense’ opere pittoriche. Il cinema è ‘invenzione’, tecnica, arte che si intrecciano in incredibili e infinite combinazioni. Sul set di un film ci sono le più diverse, bizzarre, geniali attrezzature. Si combina meccanica ed elettronica a scienza e fantasia, capacità realizzative con precisione ed affidabilità. Tutto ciò consente allo sguardo di volare come un uccello o immergersi nelle profondità marine, arrampicarsi su una montagna o cadere in un burrone, sentire il caldo del deserto o il freddo del ghiaccio artico e anche quello che non c’è il cinema può sempre crearlo. Sì, indubbiamente Leonardo da Vinci perché: “non volge sguardo chi a stelle è fisso” e noi che facciamo questo mestiere spesso ci ritroviamo a guardare il cielo.”
Il legame che unisce un padre al figlio è pre-storico. Dare vita, luce, immagine al cinema di Ermanno Olmi deve essere qualcosa di viscerale. Come preparate i film? Ricordi, suggestioni, racconti, orientamenti pittorici, fotografici, altri film o basta uno sguardo, un cenno d’intesa?
“Sono cresciuto tra i tagli di pellicola in moviola e fin da ragazzino, assieme a mia sorella, numeravamo con la china bianca le interlinee dei fotogrammi della copia lavoro prima che iniziasse il montaggio del film. Questo serviva a riconoscere il numero del ciak a cui corrispondeva la scena montata una volta iniziata la fase delicatissima del taglio del negativo originale. Ho successivamente iniziato a dare una mano come elettricista in alcuni documentari, quando ancora frequentavo il liceo. Con mio padre Ermanno non ho solo imparato ad utilizzare le strumentazioni del cinema ma ad entrare nello spazio del suo linguaggio. Ogni inquadratura è una parola, da sola dice poco, ma quando combini molte parole puoi raccontare delle storie e da lì scoprire i sentimenti più profondi. La vita poi si mescola con le infinite realtà e non sempre le storie e i sentimenti sono sinceri. Spesso sono illusioni di cui il nostro vivere, a quanto pare, ha incessantemente bisogno. Un copione di un film di mio padre inizia sempre con una nota per il lettore: ‘Il racconto che segue è frutto dell’immaginazione. Così che, pur prendendo spunto da alcune realtà storiche documentate, il nostro solo scopo è quello del piacere di narrare. E pertanto, siamo del tutto consapevoli d’aver ricomposto, manipolato e liberamente interpretato fatti e personaggi svincolandoli dal rigore del documento per essere trasformati, a nostro uso, in apologo esemplare’. Ed infatti un suo copione non ha niente di convenzionale nella suddivisione di scene e dialoghi, nessuna apertura con int. est. giorno int. est. notte, e via dicendo. Si viene trascinati in una dimensione materica e spirituale molto profonda e sensoriale. Come dire, si entra nella storia. Non c’è bisogno di aggiungere molto, le spiegazioni verranno successivamente con decine di schizzi fatti a mano come un suggestivo storyboard. Chi ha lavorato con Ermanno sa benissimo che dalla sera alla mattina nuove serie di disegni ne sostituiranno altre come indicazioni di ciò che vuole ottenere. Ma in lui c’é anche lo spirito documentaristico e prima di ogni film, anche mesi, a volte anni prima, compiamo molti sopralluoghi con attrezzatura cinematografica e liberamente cerchiamo di cogliere ciò che la realtà di quel luogo ci offre, il suo modificarsi con le ore del giorno, il suo spegnersi all’imbrunire, le mutazioni del tempo e della stagione. Si capisce che così facendo vuole entrare in un rapporto profondo con il luogo e tutti ne veniamo trascinati. Inutile dirti quante volte ci scontriamo per cose molto meno fondamentali… vuole mettere becco su tutto, cose come fissare in una certa maniera la gamba del cavalletto o sistemare un ‘kremer’ sulla mdp. Tutto è un gioco ma maledettamente serio. Ripete sempre: quando stiamo girando un film non deve esistere più niente per voi, solo il film! Quando sarà finito potrete rivedere le vostre fidanzate. Scherza sempre. Molto seriamente.
Parliamo di ‘Basilicata coast to coast’. Come inizia il progetto?
“Con Rocco ci siamo conosciuti nel 2000 per la realizzazione del suo primo cortometraggio da regista, in cui interpretava se stesso al primo appuntamento col produttore Vittorio Cecchi Gori. Ci presentò mia sorella Elisabetta che lavorava appunto alla Cecchi Gori Group e dove Vittorio volle concedere al brillante Rocco Papaleo un piccolo budget per la realizzare di un breve film. Cecchi Gori, Cecchi Gori! questo il titolo, vinse il David di Donatello come miglior corto e Papaleo si gasò! Ci volle ancora qualche anno, però, prima che venisse messo in cantiere ‘Basilicata coast to coast’.
Fabio Olmi sul set del film
Assecondare la luce naturale crediamo sia un primo movimento che caratterizza il lavoro di un cinematographer quando lavora in esterni. Location predeterminate, mesi, giorni e orari precisi, angolazioni forzate. Eppure l’impressione che abbiamo vedendo il film è che c’è molto istant shooting. Come hai organizzato il tuo viaggio per realizzare questo film?
“Uno dei più bei ricordi del film è stata proprio la primissima settimana di sopralluoghi a fine giugno del 2009, in quella regione a me sinceramente del tutto sconosciuta: la Basilicata. Eravamo io, Rocco, e Massimo della produzione. Una settimana di risate, di mangiate, bevute, di chiacchierate. Rocco era un vulcano: nella sua terra, il suo film da regista, il viaggio, la musica. Lo riconoscevano e salutavano tutti con grande calore. Non sembrava andassimo in giro a individuare location ma a passeggio nel grande giardino di casa sua, liberi di immaginare qualsiasi cosa in un qualsiasi dove. Non ci concentravamo sul copione ma sulle strade da scoprire, i boschi da penetrare, i laghetti dove sdraiarsi e canticchiare una canzone, la prossima trattoria. A parte gli scherzi, io in quel viaggio ho visto molti paesaggi e luoghi che anche se non sono stati utilizzati per le riprese, mi hanno enormemente aiutato ad entrare in rapporto con la ‘dimensione lucana’. In fase successiva le location sono state selezionate in maniera più logisticamente coordinata dalla bravissima scenografa ed ex compagna di Rocco, Sonia Peng. Diciamo che il primo viaggio con Rocco C2C è servito solo da gustosa ‘ispirazione’. A fine agosto eravamo sul set. Un giorno prima dell’inizio delle riprese, Rocco, Sonia ed io abbiamo percorso in automobile la Basilicata andata e ritorno Maratea-Scanzano- Maratea per l’ultimo ripasso del percorso e delle soste che la carovana avrebbe effettuato a cominciare dall’indomani. Sulla strada del ritorno abbiamo incrociato i camion del nostro film che finalmente arrivavano da Roma. Tutto stava per cominciare. Le incognite erano molte ma un forte entusiasmo ci rasserenava ogni momento, al punto che se pioveva o c’era il sole per noi tutti non faceva alcuna differenza, anzi, ci siamo ritrovati ad aspettare le nubi del maltempo per enfatizzare alcune scene (solitamente è il contrario) come ad esempio il brindisi che fanno col’Aglianico del Vulture sulla terrazza dell’autore di Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi.”
Una scena che ricordi con particolare affetto/effetto?
“Era credo l’ultimo giorno di riprese, dopo un’avventura fantastica durata sei settimane dove mai un malumore aveva preso il sopravvento se non quello che a breve avremmo concluso quella emozionante avventura. Come al solito pioveva, smetteva, ripioveva. Giovanna Mezzogiorno dovevarecitare un monologo piuttosto lungo e complesso sui suoi ricordi d’infanzia e del suo disincanto nello scoprire che Babbo Natale non esisteva. Max Gazzè interlocutore ‘muto’ nel film ad ascoltarla accovacciato sulla riva di un laghetto intento a liberare il pesce appena catturato. Io volevo che il primo piano di Giovanna avesse uno sfondo preciso tra cielo grigio e l’acqua della riva di questo laghetto. Le chiesi di salire su un cubo di legno per alzarla rispetto allo sfondo. Lei in un primo momento cortesemente mi disse che con quel fango e gli stivali di gomma che indossava aveva paura di scivolare. Le risposi un pò freddamente che se faceva attenzione non succedeva nulla. Lei insistette dicendo che poteva essere pericoloso ecc ecc. Al momento mi parve un capriccio dell’attrice famosa fino a che smisi di insistere poiché tutti erano in silenzio in attesa del ciak. Ancora brontolavo fra me e me pensando che il volto avrebbe perso intensità e bellezza se lo sfondo era ’neutro’ quando Giovanna parte con la recitazione… un meteorite infuocato nel cielo non si sarebbe visto… Tutto scomparve. Mi rendo conto di essere stato un cretino a pretendere di bloccarla su un cubo quando lei aveva bisogno di muoversi con il corpo in libertà, trascinata dalle parole intense dei suoi ricordi. E chissenefrega dello sfondo! Allo stop mi ha guardato e con semplicità disarmante ha detto: andava bene lo stesso?”
Hai scelto come film negative la Fuji…
“Il film, in pellicola 35mm, è stato girato con l’utilizzo di macchine da presa Arriflex 535 a 3P (perforazioni) che consentono un formato 1:1,85 e con ottiche Cooke S4. La scelta della pellicola Eterna Fuji è stata determinata anche da fattori economici e di reperibilità in quel momento. Come si dice: di necessità virtù. Ma siamo rimasti tutti comunque più che soddisfatti”.
Cromaticamente il film ci è sembrato molto saturo. Immaginiamo che, una volta sviluppato il negativo, hai lavorato in DI.
“La lavorazione in Digital Intermediate è avvenuta in risoluzione 2K, generata da un Arri Scan 3K. Peccato, oggi avremmo potuto scansionare il negativo 35 mm. a 6K per essere finalizzato a 4K con resa cinematografica superiore. Certamente questo film meriterebbe una versione Ultra HD!”
Fai molta pubblicità e anche serie TV. Cambia il tuo modo di lavorare? Come?
“Quello che può cambiare tra cinema e televisione o pubblicità e videoclip sono le finalità del prodotto e la libertà che ti viene concessa nel realizzarlo. Intendo dire che a volte devi seguire binari precisi e ottenere esattamente quello che richiede quel tipo di comunicazione, altre in cui si è aperti ad una variabile estetica ed emozionale che può ‘arricchire’ il lavoro rendendolo anche migliore di quello che ti aspettavi. In genere per la televisione si applicano parametri fotografici che incoraggiano e a volte lusingano i vari tipi di pubblico: luminosità, contrasti, cromie, si rapportano all’utente finale in base alle sue preferenze determinate dagli ascolti. Credo che anche questo tipo di lavoro possa stimolare e per certi versi appassionare anche se manca, la gran parte delle volte, un adeguato sostegno produttivo”.
Insegui la tecnologia oppure sei un cinematographer ‘romantico’? Ti chiediamo questo perché inevitabilmente l’avvento del Digital Cinema se non ha cambiato il modo di lavorare di un cinematographer quanto meno l’ha trasformato. E Fabio Olmi?
“Il mondo digitale ha consentito, soprattutto al cinema spettacolare, di creare ciò che prima era impossibile solo ipotizzare, superando le più ardite fantasie di sceneggiatori e registi. La guerra dei K è appena cominciata e le meraviglie che ci aspettano sono tante. Ma il dubbio è che ormai ogni cosa che vediamo ci lascia sempre più indifferenti. Siamo logorati dalle meraviglie? Forse sì. Mi confronto abitualmente con tecnologie atte ad un intervento sulle immagini di un film, non necessariamente di genere spettacolare, anche solo per una semplice e lineare correzione colore: i vantaggi sono evidenti. Il cinema digitale consente infinite possibilità creative ma non può sostituire la ‘sensibilità’ umana nella capacità di emozionare. La forza comunicativa di un’immagine, la sua capacità di suggestionare, di evocare un sentimento, è la combinazione di tutto ciò che la compone e che solo la mente umana e la sua natura sono in grado di concepire. Questo per dire che un bel film non lo fa la tecnica, non lo fa l’estetica. Lo fanno le idee”.
a cura di Alessandro Bernabucci, education manager SHOT Academy – Formazione professionale per il Cinema, Roma