
La Porta Rossa
La cupa e umida Trieste ospita la messa in scena di un thriller, noir, poliziesco, fantastico: La porta rossa, serie TV ideata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi e prodotta da Rai Fiction per Rai 2. Siamo alla seconda stagione. La trama è intrigante.
Il commissario Cagliostro – il cui nome evidentemente non è scelto a caso – si ritrova ad un certo punto della sua vita, la morte, ad indagare su un mistero che va ben oltre quelli italiani di Blu notte: deve risolvere il caso del proprio omicidio. Proprio così, senza refusi né errori di battitura.
Fatto fuori nel corso di un’azione, il commissario, interpretato da Lino Guanciale, decide di non oltrepassare la Porta rossa che dovrebbe condurlo nell’aldilà e di rimanere in forma di ectoplasma nel cosiddetto mondo terreno per scoprire chi è il suo assassino il quale, non ancora satollo di crimine, vuole eliminare anche Anna Mayer, magistrato ed ex moglie del commissario.
La prime due stagioni si snodano in trame a maglia larga in cui la fusione di generi rende verosimili sviluppi al limite della credibilità, sostenuti da un’atmosfera fotografica che ricalca la visionarietà del cinema: un progetto visivo ideato da Alessandro Pesci e portato a termine da Roberto Cimatti.
Classe 1960, Alessandro Pesci è un direttore della fotografia raffinato, autore delle immagini di importanti registi italiani. Dopo aver studiato alla Gaumont, esordisce fotografando il film collettivo Juke box firmato, tra gli altri, da Carlo Carlei, Antonello Grimaldi, Valerio Jalongo e Daniele Lucchetti. Nel 2007 è candidato al David di Donatello per il film N di Paolo Virzì con uno smagliante Daniel Auteuil nei panni di Napoleone, e l’anno successivo lo è per Caos Calmo di Antonello Grimaldi che vede il regista Nanni moretti nel ruolo di protagonista. Ed è proprio con Moretti che Pesci vince il Nastro d’argento per la migliore fotografia: il film è Habemus Papam, che ha guadagnato gli onori della cronaca anche per la sua preveggenza.
Dopo aver filmato alcuni documentari tra cui La cosa sempre di Moretti, Pesci si accosta al linguaggio della fiction televisiva nel 1991, collaborando alla miniserie Felipe ha gli occhi azzurri di Felice Farina.
Alessandro, hai fotografato film destinati alla sala e hai lavorato ad alcune serie televisive tra cui “La porta rossa”. Che differenze ci sono tra Cinema e Serie tv?
Il binomio Cinema come arte e Film come industria, di cui parlava Renzo Rossellini, è ancora attuale. Più film si producono e più si ha la possibilità di realizzare del buon Cinema che resta sempre portatore di una forma di racconto poco didascalico, dove lo spettatore apprende e segue la storia da ciò che ascolta e vede. Molti film invece potrebbero essere ascoltati direttamente alla radio. Ecco: anche quelli sono film, ma spesso non sono Cinema.
La produzione dei film è stata di fatto convertita in serie televisive. E’ anche vero che il cinema italiano, in particolar modo la commedia, è girato in modo analogo alle serie TV più semplici, sia per stile che per impianto. Il cinema resta una forma di racconto originale e conchiuso che nello standard dei 90 minuti può raccontare qualsiasi cosa in modo definito e completo.
Le serie TV, al contrario, sono piuttosto impianti produttivi con momenti di cinema disseminati qua e là. La serie suscita interesse basandosi su sospesi narrativi che, seppur girati in forma cinematografica, finiscono col diventare didascalici.
In termini di stile visivo, di rappresentazione fotografica, hai avuto un cambio di marcia?
Probabilmente più di uno, ricercando semplicità e naturalezza. In termini di stile, direi che ho fotografato in modo più classico fino a “La Parola Amore Esiste” di Mimmo Calopresti e poi con “L’estate di Davide” di Carlo Mazzacurati e “Baci e Abbracci” di Paolo Virzì, ho iniziato a lavorare sulla leggerezza dei mezzi e la velocizzazione del lavoro. Oggi siamo nella fase della “rivoluzione digitale” che ci ha offerto la possibilità di ricominciare a studiare avendo alle spalle la solida formazione della pellicola. Una fase dove lo sguardo è l’elemento decisivo per realizzare immagini originali.
Per La Porta rossa, ti sei ispirato ad altre serie già andate in onda?
Sono uno “spettatore professionista” e studio ciò che vedo su qualsiasi schermo. Imitare mi interessa poco, copiare lo trovo già più interessante e percettivamente più complesso perché richiede lo sforzo di calarsi nello sguardo altrui. Tuttavia, nella realizzazione di un’immagine nulla può sostituire il proprio buon gusto che, come ribadisco ai miei studenti, è oggettivo, esperenziale. Il gusto è soggettivo, il buon gusto è oggettivo.
“La porta rossa” è stata una grande occasione che portava direttamente verso un cinema “noir” e “fantasy”, un cinema di genere. Ed è in questi generi che abbiamo trovato i nostri riferimenti.
Ne La Porta rossa, e in genere nei progetti di cui sei responsabile, hai condiviso l’idea fotografica con il regista e gli autori?
Certamente. La progettazione e la sua presentazione sono momenti fondamentali. Quando iniziano le riprese si ha meno tempo per pensare e i tempi di ripresa diventano molto aggressivi. E’ necessario essere guidati da un’idea iniziale da condividere oltre che con il regista, in questo caso Carmine Elia, con tutti i reparti creativi di una troupe. Ne ”La Porta Rossa” avevamo alcuni scogli da superare e, primo tra tutti, le notti a Trieste. La Rai era preoccupata dell’ambientazione notturna della serie. Ho proposto un modo di illuminare la notte dove ciò che era importante non sarebbe mancato: gli occhi degli attori.
Rispetto ai lavori tipicamente cinematografici, la lunga serialità presenta sostanziali differenze rispetto all’impianto produttivo?
Se confrontiamo la lunga serialità con lo standard cinematografico di 5/6 settimane di ripresa, allora le serie TV sono mediamente più impiantate. Diciamo che l’apparato produttivo della serie lunga è compatibile con i progetti cinematografici a medio e alto budget.
Che apparato tecnico hai usato per realizzare la serie?
La Porta rossa è stata realizzata interamente con tre cineprese Red Dragon con ottiche Zeiss Ultra Prime. Due MdP erano montate su steadycam e una terza, la più importante, operata da Andrea Legnani, era equipaggiata con il Ronin. Con tre MdP sempre al lavoro e in movimento, si rischia di aver bisogno di un semaforo per non scontrarsi. Abbiamo cercato di impostare l’illuminazione sempre proveniente dal centro della scena affinché ogni MdP avesse una fonte di luce su cui organizzare e bilanciare l’inquadratura. Per mantenere un tono realistico durante gli esterni notte, ho utilizzato cinque lampioni mobili da collocare di volta in volta nell’inquadratura oltre ai consueti Kinoflow e panneli Led. Di giorno, invece, soprattutto Arri HMI serie M.
Puoi spiegare meglio l’illuminazione dall’interno dell’inquadratura?
In pratica abbiamo utilizzato uno schema di illuminazione naturalistico che può essere ritrovato in tutti i film di S. Kubrick sin dai tempi di “Strangelove”. In “Eyes Wide Shot”, ad esempio, l’illuminazione è sempre all’interno dell’inquadratura completando un percorso di integrazione della luce nella scenografia già straordinario in “Arancia Meccanica”. La luce nei film di Kubrick nasconde un’idea semplice, molto creativa e di non facile realizzazione: prevede che scenografia e fotografia lavorino in totale armonia su di una materia non facilmente gestibile come la luce dell’arredamento da mescolare con quella piazzata sui ponteggi dell’impianto luci.
Nell’ultimo “Medici: the Magnificent” (terza stagione), diretto da Christian Duguay, abbiamo progettato lo stile e l’impianto di illuminazione per garantire la totale mobilità alle due macchine da presa: una su steadycam e l’altra su Ronin 2. L’esperienza maturata ne “La Porta Rossa 1” è stata decisiva.
Ci sono parametri tecnici a cui devi attenerti lavorando per un prodotto televisivo?
Per i progetti destinati a Netflix è necessario rispettare il paramento della risoluzione a 4k. Per il resto serve probabilmente una maggiore attenzione a ciò che è più e a ciò che è meno visibile, ma la regola di far sempre vedere gli occhi degli interpreti è comunque una garanzia. Nelle serie di oggi, la fotografia è generalmente di stampo naturalistico, con una grande attenzione alla post produzione ed un senso di precisione dell’immagine classicheggiante e poco ruvido. Penso a ”House of cards”, “Man Hunt”, “Mind Hunter”, “Blood Line”, “Homeland”, “Il Miracolo”, “Gomorra”…
‘La porta rossa” (prima stagione)
Director: Carmine Elia
Cinematographer: Alessandro Pesci
Technical specificaions
Camera: Red Dragon con ottiche
Lenses: Zeiss Ultra Prime
di Stefano Di Leo teaching supervisor Shot Academy
a cura di Alessandro Bernabucci education manager Shot Academy